I celti, un’antica tradizione europea

Dalle isole britanniche alla Gallia, dalla penisola iberica all’Anatolia la cultura indoeuropea dei celti si diffuse in tutto in continente europeo lasciando in eredità tradizioni che ancora suscitano fascino e interesse

Le origini

Il nome kelten può essere verosimilmente tradotto con il termine ‘audaci’, mentre il latino Galli e il greco Γαλάται si presumono derivati dalla radice celtica *gal- (‘forza’) anziché da quella indoeuropea *kelH (‘essere elevato’), il che già ci pone di fronte a una formazione culturale nella quale lo spirito guerriero assurge a centro simbolico dell’intera comunità.

I primi insediamenti, nella regione prealpina nella Francia centrale, risalgono al 500 a.C. e riguardano quella che viene chiamata cultura di La Tène (Età del ferro), un nucleo originario che si sviluppa dalla precedente cultura di Hallstatt (dall’800 al 450 a.C.), a sua volta derivata, probabilmente, dalla cultura dei campi di urne dell’Età del bronzo (dal 1200 all’800 a.C.) e, quindi, in relazione con le originarie migrazioni indoeuropee.

L’espansione in Europa di un popolo guerriero

I celti si espansero notevolmente nell’area europea e persino anatolica. Una dinamica espansiva che trova ragione, da una parte, nell’indole guerriera di questi popoli, dall’altra, nell’abbondante natalità. Si presume che a sollecitare questi movimenti fosse una pratica simile a quella del ver sacrum riscontrato tra i popoli italici di origine indoeuropea. Si distinguono, così, a seguito di questi spostamenti, diversi gruppi di popolazioni celtiche, come i britanni nelle isole britanniche, i galli in Gallia, i pannoni in Pannonia, i celtiberi nella penisola iberica e i galati in Anatolia.

Alcune tra le più eclatanti scorribande predatorie di queste popolazioni sono rimaste nella storia. I celti si resero responsabili del sacco di Roma e di quello di Delfi dove depredarono il tempio di Apollo, incursioni che per la loro efferatezza lasciarono un cupo ricordo nei popoli che li subirono.

La società dei celti

Originariamente allevatori di bovini e suini i celti avevano introdotto anche l’agricoltura, praticata con il sistema di rotazione, che presupponeva la recinsione dei terreni, premessa per la proprietà privata dei campi. In ogni caso, anche i gruppi che continuarono un uso comune della terra si nota un severo controllo delle derrate prodotte, esercitato con punizioni esemplari per i trasgressori che pagavano con la morte l’eventuale sottrazione dei beni. Osserva Alexander Demandt come questa proprietà comune “non basta naturalmente a dimostrare che si trattava di una società fondata sull’uguaglianza, in quanto nella comunità decidevano coloro che godevano di maggior credito” (2003: 29-30).

Centrale nell’ordinamento giuridico, oltre al re (rigs), è il collegio dei druidi, i sacerdoti che avevano potere di giudicare e ai quali anche il sovrano doveva riferirsi per emettere le sentenze, secondo il retaggio del più arcaico diritto indoeuropeo che non distingueva tra sfera giuridica e sfera del sacro. D’altronde anche il rigs manteneva anche le funzioni sacerdotali. Coloro che non si sottomettevano alle decisioni dei giudici erano puniti con l’esclusione dai sacrifici e dalla comunità

Spettava ai sacerdoti, i druidi, nominare il magistrato supremo e, talvolta, essi avevano potere decisionale. Connessi al culto della quercia tra i riti più noti quello di raccogliere, in particolari occasioni, il vischio che su essa nasce con un falcetto d’oro per farne pozioni capaci di dare vigore e salute. Lo stesso nome ‘druido’ è fatto risalire alla medesima radice indoeuropea della parola greca drys, che indica la ‘quercia’. Alla quercia è connesso anche il cinghiale che si nutre dei suoi frutti e che, per questo, occupa un posto d’onore nell’immaginario delle popolazioni celtiche. Taranis, il ‘signore della quercia’, è la divinità più importante del pantheon celtico, connesso al tuono (taran, ‘tuono’ in bretone) e adorato nella forme di questo albero.

Religione, culti e miti

Gli dei, oltre che presso recinti quadrangolari a loro dedicati, erano adorati presso un bosco sacro, in celtico detto nementon, ma anche presso fiumi e fonti sacre dove risiedevano le divinità degli inferi e delle acque e nelle quali, come offerta, venivano gettate armi spezzate e vari oggetti d’uso.

Tra le feste particolare significato era attribuito al primo novembre, nota come festa di Samain che segnava la fine del vecchio anno e l’inizio del nuovo. Era il giorno cardine del ciclo pastorizio corrispondendo alla fine della stagione dei pascoli quando, in origine, le mandrie venivano riunite (Samain significherebbe appunto da ‘riunione’). Come festa della fertilità ricordava anche l’unione del dio Dagda con una dea della natura, Boan, o in altri casi Morrígan. La festività ha dato origine alla festa di Ognissanti (nota nell’area culturale anglofona con il nome di Halloween).

Il primo maggio cadeva la festa di Beltane, con l’equinozio di primavera e l’inizio della stagione dei pascoli. La festa ha lasciato, anch’essa, residui nelle tradizioni folkloriche e, nel Medioevo, è divenuta nota come Notte di Valpurga, il giorno della riunione delle streghe.

Tra le pratiche cultuali più cruente i sacrifici umani compiuti imprigionando i malcapitati in una sagoma umana realizzata con rami di salice intrecciati e quindi data alle fiamme. Conoscevano il cannibalismo sacro e, per esempio presso i galati, usavano sacrificare donne e bambini prima delle battaglie e prigionieri dopo le vittorie. Furono i romani, dopo averli conquistati, a vietare la pratica dei sacrifici umani.

L’organizzazione sociale tripartita

La società, secondo lo schema tripartito tipico della società indoeuropea studiato da Georges Dumézil, era divisa tra una nobiltà, composta di guerrieri e sacerdoti, e i popolani, cioè artigiani e contadini, che insieme formavano il cosiddetto túath (‘popolo’), cui si aggiungevano, soggiogati e senza diritti, gli schiavi.

La nobiltà era una casta di proprietari terrieri distinta per origini e ricchezza (nella letteratura primitiva irlandese calcolata in capi di bestiame). Intorno alla nobiltà si aggregava una cerchia di uomini liberi come clienti dei vari signori. Alla protezione di un nobile si affidava anche chi non poteva pagare i propri debiti, pur in questo modo escluso dalla partecipazione alla vita politica e divenendo di fatto uno schiavo vincolato all’autorità del suo padrone.

I celti conoscevano due forme istituzionali, presiedute dal re, ossia il consiglio degli anziani e un’assemblea generale (óenach) cui potevano intervenire gli uomini liberi, ma non con diritto di partecipare alle decisioni.

L’unità sociale del túath era la famiglia (fine). In essa gli uomini, in qualità di capifamiglia, avevano potere di vita e di morte su figli e donne che non di rado potevano essere sacrificate alle divinità della vittoria o uccise sulle tombe dei mariti. Nonostante questo, per residui di forme sociali matrilineari, la parentela era indicata per linea materna e le donne potevano anche succedere al potere, oltre ad avere una certa libertà nella scelta del consorte.