Le riflessioni che costellano la produzione filosofica di Walter Benjamin toccano argomenti estremamente variegati il che ne ha fatto un autore difficile da collocare in una precisa scuola di pensiero, rendendolo piuttosto un outsider della filosofia. In effetti, di fronte a questa eterogeneità tematica, ci si può chiedere cosa tenga insieme le sue riflessioni. Eppure, a ben vedere, è possibile individuare un nesso occulto che chiede di essere disvelato e questo nesso si trova proprio nel metodo della sua critica dialettica, decisivo l’interpretazione antropologica della cultura che egli propone.
La mitologia ci parla di civiltà fantastiche andate misteriosamente perdute, il folklore è popolato di figure fatate e popoli le cui origini si perdono nella notte dei tempi. Tutto questo è parte di una memoria ancestrale le cui radici affondano in eventi molto lontani. Per l’antropologo sono tracce indispensabili per indagare un periodo cruciale per la formazione della cultura europea: la protostoria.
Si parla spesso di radici culturali d’Europa. È sicuramente vero che esse affondano nel cristianesimo, come non di meno è giusto ricercarle nella ancor più antica cultura indoeuropea. Nei miti è possibile scorgere testimonianze di una terza fonte, una civiltà originaria i cui simboli sono conservati, seppure in modo occulto, nella tradizioni europee. Una cultura che risale alla preistoria del continente, raccontata come un’epoca felice, un’Età dell’oro perduta nelle nebbie del tempo.
Quali tecniche hanno permesso alle comunità umane, dal Paleolitico fino all’alba della modernità, di sopravvivere in condizioni spesso estreme? Quali insegnamenti pratici possiamo apprendere dalle civiltà del passato? Attraverso racconti, miti e tradizioni degli antichi popoli europei, il libro offre una lettura inedita e documentata su un’eredità tanto condivisa quanto dimenticata.