«Un piccolo errore all’inizio, diventa grande alla fine»

La filosofia antica è ricca di insegnamenti di cui ancora possiamo fare tesoro, particolarmente utili quando ci si trova, come spesso al giorno d’oggi, in situazioni critiche e impreviste

Tommaso d’Aquino, riprendendo un più antico ragionamento di Aristotele, sentenziava in modo esemplare: «Un piccolo errore all’inizio diventa grande alla fine». Una metafora che fa sua l’esperienza dei marinai i quali, tracciando le rotte sulle loro mappe, devono fare estrema attenzione affinché un errore, anche lieve, nel calcolo dell’angolo alla fine non implichi una forte distorsione della rotta da seguire. Un’imprecisa valutazione all’inizio del calcolo facilmente può causare un errore di prospettiva che lo condurrà su lidi indesiderati. 

Da questa massima, tratta dall’esperienza degli antichi marinai, si deduce un’indicazione fondamentale: per fare bene le cose bisogna avere mente attenta, allenata al calcolo della giusta rotta da seguire. Come un navigante sul mare aperto ha bisogno di punti di riferimento certi e sicuri anche l’uomo, nella vita di tutti i giorni, deve poter confidare in modalità di ragionamento non fallaci. Sollecitare l’attenzione mentale e stimolare il ragionamento ponderato ed efficace è, in ultima analisi, l’obiettivo proprio della filosofia antica e gli insegnamenti filosofici sono, in fondo, vere e proprie «tecniche di sopravvivenza» per affrontare la vita quotidiana. 

La filosofia come tecnica di sopravvivenza

Da questo punto di vista i filosofi antichi ci consegnano un bagaglio di insegnamenti che oggi si direbbero prossimi alle discipline che addestrano ad affrontare l’incertezza e le situazioni di emergenza. Presso i maestri greci e romani la filosofia è considerata una disciplina etica e, insieme, pratica che porta l’allievo a esercitare la mente con riflessioni atte a favorire la corretta valutazione dei limiti imposti dalle condizioni oggettive al pensiero e all’azione. L’allenamento e la pratica costante del pensiero, quindi, predispongono l’allievo ad adottare un corretto atteggiamento in situazioni critiche e a opportune valutazioni delle circostanze.

Ancora oggi si coglie l’importanza di questi insegnamenti nella vita di tutti i giorni e, certo, essi possono essere di ausilio per coloro che si trovano in situazioni di emergenza, quando si tende maggiormente alla confusione e alla perdita di capacità critica, incapaci di operare con giudizio.

Esercizi spirituali nella filosofia antica

Fin dalla nascita la filosofia, la quale era tutt’altro che una pura speculazione sull’astratta essenza del mondo come divenne nell’età moderna, è sempre stata strettamente connessa a pratiche ed esercizi attraverso i quali l’allievo era indotto ad acquisire un corretto giudizio critico su situazioni concrete. Il filosofo Pierre Hadot ha indagato a lungo questo aspetto della filosofia antica (Esercizi spirituali e filosofia antica, Einaudi, Torino, 2005; Che cos’è la filosofia antica?, Einaudi, Torino, 1996). Hadot osserva come tutte le antiche scuole filosofiche siano state molto attente a questo livello «pratico» del pensiero. Soprattutto nella filosofia d’ispirazione stoica e platonica gli esercizi sono ritenuti una terapia dello spirito che punta a far conquistare un’attenzione, una vigilanza e una presenza di spirito continue tenendo la coscienza di sé sempre desta. 

Hadot mostra come, a differenza della  filosofia moderna che pare destinata a costruire un linguaggio tecnico riservato a soli specialisti, la filosofia antica greca e latina propone, invece, soluzioni efficaci e congrue per riuscire imparare dal mondo che ci circonda, per conseguire ciò che per noi è bene e quindi giusto, distinguendolo da quanto è piuttosto causa di male. Non tecnicismi per una cerchia ristretta, dunque, ma soluzioni pratiche volte a predisporre la mente ad accogliere ciò che è essenziale e a distoglierla dall’inessenziale. Il compito dell’allievo di una scuola filosofica è essenzialmente quello di imparare a valutare correttamente quelle che sono le proprie concrete possibilità, ricercare la giusta misura nelle valutazioni e rifuggire gli eccessi, fonte di errore e di infelicità.

Gli esercizi devono portare gli allievi a modificare il loro rapporto col mondo. L’oggetto dell’esercizio filosofico è il raggiungimento di una vita etica, giusta in relazione a se stesso e in relazione al mondo e agli altri, certo, ma ciò implica una disciplina che rende capaci di controllare le variabili che costituiscono il centro focale e problematico della relazione con il mondo circostante, ossia il modo con il quale ci rappresentiamo questo rapporto e l’efficacia di questa rappresentazione

Una corretta rappresentazione delle situazioni

Le situazioni in cui ci veniamo a trovare, se mal comprese e fallacemente rappresentate, inducono a risposte ingannevoli. Il rapporto tra sé e mondo deve, quindi, essere sempre sottoposto a un attento vaglio della «presenza di spirito», uno stato di lucida vigilanza sul momento presente tale da consentire la comprensione della corretta relazione tra le proprie condizioni e quelle del mondo che ci circonda. 

Marco Aurelio, imperatore stoico.

In primo luogo, come affermano gli stoici, si tratta di riequilibrare il senso della possibilità che ogni individuo possiede smascherando quei pensieri e quei desideri che conducono a una percezione erronea di quanto effettivamente ricade nella sfera della propria azione, distinguendo ciò che non dipende dalle proprie possibilità di intervento e su cui non si ha potere di azione

L’allievo, intenzionato ad agire correttamente, deve concentrare i pensieri e il giudizio su quanto egli effettivamente può agire, su ciò che dipende dal suo operato, trascurando come intenzioni vane qualsiasi proposito che abbia quale oggetto cose che non ricadono nella sfera delle azioni concretamene possibili. Il compito del maestro e della filosofia è quello di fornire all’allievo gli strumenti che lo rafforzano in questa pratica di discernimento critico. 

La critica è capacità di distinguere

Saper sottoporre a critica per poter giudicare è un esercizio fondamentale per discernere il giusto dall’erroneo. Non a caso la parola ‘critica’ deriva dal greco κρίνω, che indica l’azione di ‘separare’, ‘decidere’, ‘giudicare’, con riferimento, in origine, al lavoro agricolo della trebbiatura e della raccolta del grano che appunto implicavano la separazione del frumento dalla pula. Alla parola greca corrisponde il latino cerno, da cui deriva il verbo italiano ‘discernere’. 

Quando, se non nei momenti critici, questa attività critica ci viene maggiormente in soccorso? D’altronde anche la parola ‘crisi’ deriva dal greco κρίνω, a ricordarci come una situazione di crisi sia tale innanzitutto perché ci pone di fronte a un’ambivalenza che implica una decisione, una scelta tra alternative distinte. Le situazioni critiche ci pongono di fronte alla necessità di decidere. Tanto più è critica una situazione, tanto più urgente è il ricorso alla nostra capacità di giudizio. Lucidità e capacità critica devono, quindi, essere sempre presenti sull’orizzonte di chi affronta situazioni di emergenza. 

Dividere e riunire, i due movimenti del pensiero dialettico

I maestri platonici, con questa intenzione, insegnavano l’arte della dialettica, ossia la pratica di pensiero che esemplificavano in due momenti fondamentali: la diairesis (dividere) e la synagoghé (riunire). Dividere le cose del mondo per comprenderne gli elementi dialettici costitutivi è il primo momento filosofico sul quale l’allievo deve esercitare l’attenzione. Riunirle considerandone l’appartenenza a un medesimo processo, uno stesso campo di forze polari in reciproca tensione, ne è il momento filosofico conseguente e necessario. 

I maestri stoici, a loro volta, insegnano a suddividere la pratica filosofica in tre momenti, lectio, meditatio, actio, a sottolineare come ogni insegnamento richiede una riflessione destinata alla fine a tradursi in pratica, in azione. Si tratta ancora una volta di imparare a distinguere e valutare, ad acquisire una presenza di spirito che predispone a una corretta comprensione delle situazioni. 

La filosofia antica persegue, in questo modo, una disciplina del sé nella quale i concetti fondamentali sono istruzioni utili per orientare l’allievo nella vita concreta. Una sapienza non solo per conoscere il mondo, ma per vivere correttamente in esso.

Da questo punto di vista anche le moderne tecniche di sopravvivenza, sia in ambito militare che civile, possono essere interpretate come una sorta di esercizio filosofico. Tecniche che stimolano la comprensione rapida ed efficace di una situazione critica, con l’obiettivo di evitare di rimanervi avvinti e, piuttosto, di riuscire a scorgervi possibilità praticabili.

La situazione limite di una condizione di emergenza che pone a repentaglio la nostra sopravvivenza è per definizione una condizione critica, come tale necessita di quella fermezza d’animo e lucidità mentale che era obiettivo delle antiche scuole filosofiche stimolare e rafforzare. In questi momenti è importante concentrarsi sull’hic et nunc, sul momento presente, il qui e ora, perché il tempo presente è tempo dell’azione, il tempo in cui dobbiamo e possiamo decidere

Il passato non è più, il futuro non è ancora, il presente è. È il tempo in cui facciamo le nostre esperienze e possiamo determinare cosa fare e concretamente farlo. Rimuginare sul passato, sembrano dirci i filosofi, non serve e non serve fantasticare sul futuro. È importante, invece, essere consapevoli di ciò che facciamo ora, nel presente, per non trovarci domani a rimpiangere gli errori passati o ad affrontare una realtà che non avremmo voluto vivere. E per questo bisogna essere addestrati ed esercitarsi mentalmente, seguendo i consigli dei maestri.

Kairos, il tempo opportuno.

Il tempo della decisione

Kairos è una delle figure che, presso i greci, rappresenta una delle dimensione del tempo. Non è Kronos, il tempo che scorre indifferente, il tempo misurabile. Non è Aion, il tempo compreso nella sua eternità. Kairos rappresenta, piuttosto, il momento presente come occasione, come attimo da cogliere. Un attimo particolare nel quale siamo in grado di afferrare, al momento opportuno, l’occasione che il destino ci presenta. L’attimo giusto in cui agire.  

Kairos è un dio, il dio del «tempo in cui qualcosa accade», cioè del presente che, nel suo incessante scorrere, in un attimo decisivo, per un istante, acquista una particolare valenza e che può essere afferrato se oggetto di una scelta e di una decisione. 

Kairos ha le ali perché è sempre fugace, capelli lunghi sulla fronte, ma completamente rasato dietro la nuca: una volta passato infatti non può più essere afferrato. Ha una bilancia in mano, simbolo del momento giusto. Per i greci si afferra Kairos quando si coglie l’occasione decisiva che cambia la propria sorte. È un’immagine da tenere a mente quando ci si trova in situazioni critiche, quando cioè si fa impellente il momento di una decisione.